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Museo dell'Ombrello e del Parasole

Via Golf Panorama,3 28836 Gignese (VB)
Tel. +39 0323 89622
Tel. +39 0323 208064 (direct)
 
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Museo

La storia dei primi ombrellai è una storia di povertà. L'economia del Vergante anche alla fine del '700 costringeva all'emigrazione e alla ricerca di un lavoro nelle pianure lombarde e piemontesi. A Torino, a contatto con ambulanti francesi avvenne la scoperta di una nuova possibilità: la riparazione e la costruzione di ombrelli. L'apprendista, un ragazzino di sette, otto anni, il giorno di Capodanno, sulla piazza di Carpugnino, veniva affidato dai genitori agli artigiani ambulanti, sperando che avrebbe imparato un mestiere. "Al prumm dal lungon a Carpignin, a truà l' Casér senza an bergnin". "Il primo dell'anno a Carpugnino, a cercar padrone, senza un soldino" recita l'epigrafe posta nella piazza di Carpugnino. Molti fecero fortuna e molti vissero una vita fatta di separazione dalla famiglia, di notte nei fienili, di freddo e fame.


Il padrone provvedeva in tutto all'apprendista che al grido di "Ombrele!.. Ombrelé!" imparava a riparare e a costruire un ombrello. A ritorno a casa, a Natale, come compenso, se il ragazzo era stato volenteroso e si era dimostrato abile, un paio di scarpe e un ombrello di seta Gloria e poi di nuovo in giro Il tarusc, gergo comune grazie all'omogeneità di provenienza della categoria, permetteva una comunicazione rapida e segreta tra ambulanti che potevano davanti all'ingenuo utente scambiare notizie e commentare nella certezza di non essere capiti. Il gergo dimostra la duttilità degli ombrellai nell'arricchire il dialetto con voci provenienti dal tedesco, dal francese, dallo spagnolo, ma soprattutto, l'arguzia di uomini che spesso poteva vantare un solo anno di scuola. Ad esempio l'avvocato è "denciòn" ed il cuoco è "brusapignat". In entrambi termini c'è la diffidenza per professioni che vengono sentiti estranee alla propria mentalità e, nel caso dell'avvocato, anche ostili.
L'avvocato affonda i lunghi denti nelle misere sostanze dei poveretti che ricorrono a lui e il cuoco, nei migliori dei casi, brucia le pentole. Del resto, a che serve un cuoco a chi mangia un pezzo di pane e formaggio, se c'è? Alcune, però, fecero fortuna a Milano, Torino, Venezia, Locarno, Roma, Napoli, Bari, New York , San Francisco, Sidney. Igino Ambrosini ricorda ben 180 dinastie ombrellaie originarie di Gignese e delle zone circostanti ma, per la verità, si devono citare anche quelle del Cusio e del Lago di Como.Sarebbe ingeneroso nominare solo alcuni dei personaggi che hanno diffuso l'arte ombrellaia nel mondo: basti dire che l'artigianato è diventato un'industria, purtroppo minacciata dalla dozzinale produzione dei paesi orientali, ma i più eleganti, i meglio rifiniti, i più alla moda tra gli ombrelli sono ancora e sempre gli ombrelli italiani.